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Fedele Romani

Colledara

4. L’Italia una e indipendente. Garibaldi

 

3. L’eccidio di Brozzi

5. I briganti

 

Ritratto di Fedele Romani, eseguito da Gianfrancesco Nardi

donato dallo scrittore a Vincenzo Rosati nel 1876

 

4. L’Italia una e indipendente. Garibaldi

L'eco dell'eccidio di Brozzi, nonostante che fosse accaduto parecchi anni prima della mia nascita, durava ancora vivissima, quando, uscendo dall'infanzia, incominciai a intendere e ragionare. Ma l'attenzione di tutti cominciava oramai a esser richiamata da altri fatti che avvenivano ogni giorno, spesso terribili anch'essi: fatti in relazione coi grandi mutamenti della patria comune, e conseguenza immediata di essi.

I Borboni erano stati cacciati da Napoli, e sorgeva l'Italia una e indipendente. Due erano i fatti più importanti per mezzo dei quali il moto della rivoluzione si ripercoteva tra quei villaggetti degli Abruzzi: la Guardia Nazionale e i briganti. Il Corpo di Guardia del Comune, non era nel capoluogo, Castiglione della Valle, un piccolo villaggetto anch'esso; ma appunto in Colledara, per la sua posizione più centrale; e accanto a casa mia. Avevano adattato a tale uso una stalla di pecore.

Ogni mattina, in una specie di piazzetta, limitata, da una parte, dalle case e, dall'altra, da siepi e da una chiesuola in fabbrica, al cospetto maestoso del Gran Sasso, che guardava chi sa con quali sentimenti quei fatti nuovi, egli che ne aveva visti tanti, si facevano gli esercizii militari. Impartiva gli ordini un proprietario di un villaggio vicino, con una bella barba bionda e un gran vocione autorevole. Egli aveva il grado di capitano e, per divisa, un berretto militare e una fascia tricolore attorno alla vita, su d'un soprabitino verde oliva; e dalla fascia pendeva la sciabola. Degli altri graduati ho un ricordo troppo confuso e sbiadito; ma rivedo bene il caporale soprannominato Bartoccitto, barbiere dei signori e già militare nei Cacciatori dell'esercito borbonico. Egli, non so in quale circostanza, aveva fatto la barba a Sua Eccellenza (così egli diceva sempre, quando lo nominava: il che accadeva assai spesso), a Sua Eccellenza il generale Filangieri; ed era bastato questo per fargli dar la volta al cervello. Quei signorotti del paese a cui egli, una volta la settimana e nelle occasioni solenni e straordinarie, faceva la barba, gli sembravano tanti Filangieri, e dava a tutti dell'Eccellenza. Innalzando gli altri, innalzava anche se stesso, ed aveva finito per credersi un eroe, mentre in realtà tremava alla sola supposizione del più lontano pericolo.

Era quasi in miseria, e parlava di sua moglie, una povera donna di campagna, come d'una signora; e, qualche volta, ritrovandosi con degli amici sotto le finestre di casa sua, aveva, come per improvviso ricordo, chiamata la moglie, e le aveva detto col tono d' un' abitudine:- Puoi preparare il caffè. - Il caffè in casa sua non si pigliava mai; ma quella povera donna era avvezza a queste fantasie del marito, e non faceva conto di nulla; o tutt'al più ritornava dentro sospirando, mentre ripensava alla sua miseria e a quella gioia di uomo. Questi era il caporale, ed egli spesso rideva sotto i baffi (per modo di dire, perchè baffi non ne aveva) degli ordini del capitano, il quale non aveva mai fatto il soldato e sbagliava ogni momento. Egli e gli altri militi avevano per solo distintivo il berretto militare; ma nessuno lo sapeva portare come andava portato, all'infuori di lui, che rivolgeva ogni tanto uno sguardo di compassione a quelle teste di rapa.

Tutti, tranne il capitano, avevano le scarpe ferrate di grossi chiodi; e, quando sfilavano, marcando il passo, sul selciato davanti a casa nostra, mentre il capitano precedeva camminando all'indietro, fiero dell'opera sua; si sentiva un rumore di ferro e di selce, che avrebbe dovuto spaventare, senza colpo ferire, centomila briganti.

Ma i briganti lasciavano fare, e proseguivano l'opera loro senza darsi pensiero di quelle che per loro eran ragazzate. Ciò non dice, per altro, che, ove lo credessero opportuno, non impartissero qualche buona lezione a quei truculenti e minacciosi drappelli.

Una notte, il suono d'un tamburo che batteva la marcia si fece sentire nei pressi del Corpo di Guardia di Tossicía. Il suono s'avvicinava sempre più, e finalmente fu davanti alla porta, che era chiusa. - Chi v'ha là? - gridarono di dentro i militi della guardia, destati al rumore. - Siamo la forza. Viva l'Italia! - Quei di dentro credettero che fossero i soldati e aprirono. Era, invece, una masnada di briganti. Come tigri assetate di sangue si gettarono su quegli infelici, e quanti ne trovarono, tanti ne uccisero accanto alle loro inutili armi.

Tali fatti accrescevano sempre più il terrore negli animi di tutti; e tutti, anche quelli non ascritti alla Guardia, sentivano il bisogno di unirsi, affratellarsi, armarsi per difendersi al bisogno, o almeno per diminuire o nascondere la paura, e ingannar in certo modo se stessi con fieri preparativi di difesa.

Le case si riempivano di fucili e di munizioni: i vecchi fucili a pietra focaia si cambiavano con quelli più nuovi a capsula; alcuni trovavano modo di provvedersi anche di qualche bomba. In casa mia ne acquistarono due, le quali rimasero lungamente dentro un armadio, troppo alla portata, a dir vero, di noi ragazzi: del resto, noi guardavamo sempre con terrore quegli spaghi impeciati e incrociati sulla veste di ferro, e quelle micce. Solo qualcuno più ardito, a volte, arrivava a prendere in mano quelle macchine infernali e a scuoterle: esse risonavano lugubremente per i proiettili d'ogni specie e d' ogni forma che v'erano rinserrati. Ma dicevano che i briganti non avevano paura delle bombe, perchè con sciabole affilate tagliavano la miccia alla radice, prima dell'esplosione. E così neppur le bombe bastavano a ridare un po' di sonno.

Le case si munivano di feritoie che miravano in tutte le direzioni da cui si credeva potessero apparire da un momento all'altro i briganti; e ce n'era sempre una che mirava a piombo sul capo di chi si fosse accostato alla porta. I battenti venivano corazzati di grosse lamine di ferro.

La notte, fiere pattuglie composte di borghesi sul labbro dei quali nereggiavano i nuovi baffi rivoluzionarìi, uscivano in ronda, armate fino ai denti, per dar la caccia ai briganti che s'aggirassero nei dintorni. L'impresa pareva piena di pericoli; e le mogli, come Creusa, la notte dell'incendio di Troia, piangendo e mostrando i figli pargoletti scongiuravano, ma inutilmente, gli ostinati mariti a non uscire. Essi avevano cura di prendere sempre la direzione opposta a quella dove si diceva che fossero i briganti, perchè questi la sanno lunga e accennano a voler ferire a destra per poi ferire improvvisamente a sinistra. Ma, con tutto ciò, i fieri drappelli non riuscivano mai ad abbattersi coi briganti; e, benchè spesso la campagna risonasse di schioppettate che potevano far credere ad uno scontro, esse erano sempre tirate contro alberi e cespugli, che nelle più cupe e silenziose ore della notte, per una misteriosa aspirazione verso l'aspetto e la vita dell'uomo, godono di assumere forme e atteggiamenti umani e, in modo speciale, quelli di battaglia e di minaccia.

Fra tanto odor di polvere e rimbombo di fucilate, anche noi bambini diventavamo guerrieri. I bambini hanno, come si sa, una naturale inclinazione per le armi, per i soldati e per la guerra; ma l'inclinazione naturale era acuita di gran lunga per il carattere speciale dei tempi. Anche le bambine, gettate da parte le puppattole, si armavano insieme coi maschi di spade di legno e di fucili di canna, e marciavano per le strade del villaggio e dei campi imitando il concitato imperio e il, ahi! non celere obbedir del capitano e dei militi della Guardia Nazionale. A quei piccoli eserciti, più fortunati delle paterne pattuglie, accadeva spesso d'incontrare schiere di briganti, piccoli come loro; e là scaramucce e battaglie, non sempre, a dir vero, incruente. Spesso quei piccoli eroi, sazii di strage, si raccoglievano in circoli frementi di amor patrio, e, tenendo sollevati, in fiero atteggiamento, gli schioppi di canna, intonavano il canto:

Viva l'Italia, - giardin di natura: Iddio creolla - tra l'Alpi ed il mar....

Ogni strofa finiva col grido all'armi! e, in quel punto, tutti i fucili di canna schioccavano come per incanto. Se gli schiocchi non accadevano tutti allo stesso tempo, erano occhiatacce e rabbuffi del capitano, e anche scappellotti.

Ma, se qualcuno ci avesse domandato che cosa era l'Italia e quel giardin di natura, noi, almeno i più piccoli tra noi, non avremmo saputo dirlo. Facevamo così, discorrevamo così, perchè così vedevamo fare e discorrere. Del resto, i contadini, e non soltanto i contadini, anche con tanto di barba, non ne sapevano più di noi. Si parlava di Piemontesi (così si chiamavano i nuovi sol dati, di qualunque luogo essi fossero) come si sarebbe parlato di Spagnuoli, di Francesi, di Tedeschi: tanto la gente era avvezza alle invasioni degli stranieri, da non saper immaginare che ci potesse essere un'altra specie, chiamiamola così, d'invasione. Dei soldati chiamati dalle nuove leve, si diceva che partivano per l'Italia. La rivoluzione italiana fu rivoluzione eminentemente letteraria, ispirata dai libri, fatta con la spada in una mano e con Dante e Virgilio nell'altra. Essa usciva dalla scuola, e il popolo, e specialmente quello di certe provincie, non la capiva, nè la desiderava: quelli che la volevano e si facevano ammazzare per essa, erano appena un pugno in paragone dell'immenso numero di coloro i quali non sapevano neppure che la loro patria si chiamava l'Italia. Questa è la verità, e non bisogna aver paura di dirla.

Tutta quella gran massa grigia che non arrivava a capire che cosa accadesse intorno a sè, non aveva una personalità sua propria: essa non contava nulla: era lo strumento cieco di quei pochi che agivano e comanda vano, e li seguiva senza chieder più oltre: i pochi ribelli si chiamavano briganti. In fondo, era come se quei milioni di persone non ci fossero stati.

L'Italia, come è oggi, non è dunque l'Italia come l'hanno voluta gl'Italiani, dando a questa parola il suo pieno significato, ma l'Italia come l'hanno voluta le persone di studio, che sono i pochi. Noi non sappiamo ancora quale sarà l'Italia nuova. Quella massa grigia, che non significava nulla, ed era come un fondo nebuloso ed uniforme del. gran quadro, comincia ad avere una coscienza: noi stessi gliel'abbiamo data con tante scuole che pullulano d' ogni parte: essa comincia qua e là ad agitarsi, come le onde che si addestrano agl'impeti ed alle furie della vicina tempesta: essa alza il capo e si guarda intorno e non sa perchè sia accaduto quello che è accaduto, come chi si risveglia da un lungo sonno. Essa guarda verso di noi, che leggiamo Dante e Machiavelli, e pensa: - Voi vi siete fatta la vostra Italia: ora tocca a me farmi la mia. - E un giorno, anch'essa se la farà; non c'è da dubitarne. E noi, piuttosto che pensare con dolore e spavento a questa nuova Italia, piuttosto che combatterla ed avversarla prima che essa nasca, salutiamola fin da ora nella sua nuova grandezza e nella sua nuova gloria.

Il popolo, dicevo, non capiva quale grande mutamento avvenisse in Italia: da noi esso aborriva quelle novità, che riteneva fossero tutte a vantaggio della classe odiata nel fondo dei no cuore, i signori, chiamando con questo nome tutti quelli che potevano, o credevano di poter vivere senza lavorare. Le tasse cresciute improvvisamente, in modo insopportabile e non proporzionato ai guadagni ed alle,rendite, gli facevano ritenere che il nuovo governo fosse composto tutto di ladri. Il capo dei ladri, secondo lui, era lo stesso. Vittorio Emanuele, e per sfogare in,qualche modo il suo rancore, lo chiamava lu cecäte (il cieco). Non sono mai riuscito a capir bene da che potesse derivare questo nomignolo di Re Vittorio.

Ma, nonostante questa generale e profonda avversione pel nuovo ordine di cose, non mancavano di quelli che correvano ad arrolarsi nelle schiere di Garibaldi. Noi bambini, vedendoli partire, cantavamo, pieni d'impeto bellicoso, sognando vittorie:

Quando la tromba - sonava all' armi, con Garibaldi - corsi a arrolarmi !...

Ma chi erano quelli che partivano? Se non conoscessi, per aver letto il loro nome nella storia, o per aver studiato i loro scritti, quali anime grandi, piene dei più nobili sentimenti e dei più alti ideali, si raccoglievano intorno all'Eroe, dovrei credere, giudicando da alcuni che partivano dal mio paese, che le schiere garibaldine fossero composte di gente non meno forse brigantesca dei veri e proprii briganti. Essi partivano, non già per impulso disinteressato d'amor di patria, ma per la speranza di trovare il modo, nella confusione degli avvenimenti, di potersi impadronire di ricco bottino o di essere in altra maniera lanciati in alto dalla fortuna. Certo non mancavano neppur laggiù delle anime pure che partivano senz'ombra di secondi fini; ma erano, per lo più, dei giovinetti inesperti, che spesso non sapevano con precisione la ragione stessa della loro partenza, ed erano trascinati da un vago desiderio di avventure, o dalla brama di sottrarsi alla tirannia paterna, più che a quella della patria. Lode a Lui se da elementi così scomposti, così parii, e spesso così lontani in apparenza dai suoi fini, poteva ricavare con la forza irradiata dal suo gran cuore, il più gagliardo e più compatto degli organismi. Egli sapeva che coloro che noi chiamiamo malvagi, altro non sono che fonti di esiziali energie, le quali possono da una mano di ferro essere improvvisamente volte a scopo utile e buono. Il vasto corpo di cui egli era l'anima, si rendeva tutto simile a lui, mediante il potente lavoro d'assimilazione di cui egli era capace.

Quando quel meraviglioso organismo si dissolveva, e ognuno tornava a casa sua, naturalmente gli elementi costitutori ripigliavano, insieme con la loro propria individualità e libertà, tutto il carattere d'una volta, non senza, per altro, una qualche modificazione per essere stati attraversati e compenetrati, sia pure per breve tempo, dalla luce di quell'astro. Questo ritorno inevitabile alle antiche abitudini, alle consuete pratiche di quella gente, di sua natura, non di rado perversa, doveva contribuirò e contribuì a screditare il nome di garibaldino, e di Garibaldi stesso, presso la gente ignorante delle mie parti, certo non delle mie parti soltanto.

Per tali ragioni io vedo quasi sempre con dolore risorgere la camicia rossa tra le chiassate e i rumorosi disordini delle feste. A me par quasi una profanazione, specie, quando quella camicia, resa sacra da chi l'indossò la prima volta, la vedo sul petto di persone d'apparenza ordinaria e volgare, che non sdegnano di trascinarla, finita la festa, all'osteria.

Facciamo che quella camicia e la sua fiamma ormai risplenda soltanto nelle sale del glorioso palagio della storia e nelle opere di quegli artisti che dal suo splendore trassero alte e nobili ispirazioni.

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Sommario

Introduzione e indice

Testo: 1 - Colledara e il Gran Sasso; 2 - I nonni; 3 - L’eccidio di Brozzi; 4 - L’Italia una e indipendente. Garibaldi; 5 - I briganti; 6 - La famiglia si trasferisce a Teramo; 7 - La madre di Fedele; 8 - Il padre di Fedele; 9 - Lo studio del padre; 10 - Le persone del villaggio; 11 - La chiesa di Colledara; 12 - Il pranzo; 13 - Il ballo; 14 - La vita a Colledara

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