delfico punto it - l'abruzzo e l'abruzzesistica - storia, bibliografia, fotografie, documenti - a cura di fausto eugeni
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Fedele Romani Colledara 3. L’eccidio di Brozzi |
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2. I nonni |
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Ritratto di Fedele Romani, eseguito da Gianfrancesco Nardi donato dallo scrittore a Vincenzo Rosati nel 1876 |
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3. L’eccidio di Brozzi Tali erano le persone vissute in casa nostra negli anni che avevano preceduto immediatamente la mia nascita, ed erano morte senza che io l'avessi potuto conoscere. Sentivo però la loro anima che viveva e parlava ancora con noi per mezzo di quegli oggetti che erano loro appartenuti, per mezzo di mille piccoli ricordi, di mille loro frasi e modi di dire e sentenze, che erano la sintesi di tutta la loro mente, la quale viveva così di una vita nuova, più semplice e più sicura della prima. E, per quel che riguarda papà grosso, la sua anima viveva più pienamente, solidificata e fissata in quella casa dalle mura inutilmente massicce come quelle di una fortezza, dalla scala che occupava un terzo di essa, con gradini così alti e incomodi, che parevano fatti per le gambe di un gigante, e dal cornicione enorme. E, mentre fantasticavo attorno alle persone e le rendevo più nobili e grandi, non esercitavo meno quelle mie facoltà che dirò epiche, dietro i fatti principali che erano accaduti poco prima ch'io nascessi, e dei quali più spesso sentivo discorrere in casa e fuori. Fra cotesti fatti primeggiava di gran lunga il cosiddetto eccidio di Brozzi. Esso aveva riempito di maraviglia e di terrore tutta la regione. Brozzi è un paesello della provincia di Teramo, posto sulle colline montuose che sorgono al di là di Montorio al Vomano. Una delle famiglie più ricche del villaggio, o forse la più ricca, era quella dei Mercante, ed avevano la casa non proprio nel paese, ma a una certa distanza da esso. La sera tardi del 15 dicembre 1848, fu picchiato insolitamente alla loro porta. Il capo della famiglia si affacciò con qualche precauzione. - Chi è? - Signor padrone, - rispose una voce, ed era quella di Appicciafuoco, soccio della famiglia, - sono venuto a portarti un fascio di fieno. Mi scuserai se ho fatto un po' tardi. - Il padrone, dopo d'aver manifestato la sua maraviglia per l'ora insolita e per quell'idea del fascio di fieno, scese ad aprire. Mentre egli, lasciata aperta la porta, era nel fienile e collocava il fascio di Appicciafuoco, la casa si riempì in un momento delle più brutte facce di ladri e di assassini dei dintorni, o già noti come tali, o non supposti tali da nessuno; e tra questi ve n'erano di amici della famiglia, e v'era anche un compare: tutti senza maschera, con l'impudenza vigliacca di cui spesso si veste la forza assoluta davanti alla debolezza assoluta, e con la sicurezza che nessuno sarebbe sopravvissuto alla strage meditata. Appicciafuoco era stato il traditore, ed aveva venduto, certo per pochi denari, tutta la sventurata famiglia dei suoi padroni. Immaginarsi lo sgomento, il terrore di quegli infelici che erano in casa, e del capo della famiglia, quando tornò su. Credendo sulle prime che quella nefanda masnada non desiderasse che denaro, si affrettarono ad offrirne, supplicando, piangendo per aver salva la vita. Gli sventurati non potevano sospettare quale orribile trama s'era ordita contro loro tutti. Essi non sapevano che un loro parente, per entrare in possesso dell'intero loro vistoso patrimonio, aveva formato l'infernale disegno di farli trucidare tutti insieme e improvvisamente, in modo da impedire a ciascuno di loro di disporre a propria volontà degli averi, ove non l'avesse ancora fatto, e di far rubare, distruggere, bruciare quei documenti, a cui quella volontà fosse già stata affidata. Per attuare il suo progetto quel manigoldo s' era rivolto a tutte le più losche figure, a tutti i ladroni del circondario. Quelle tigri incominciarono subito la strage, con pugnali, con scuri, con ogni arme che si trovavano addosso, o veniva loro in mano. Chiusa ogni via di scampo alle vittime. La padrona di casa era incinta di molti mesi; ed avendo riconosciuto, in uno dei sicarii, il compare: - Compare, - gli disse, - perchè fai questo? - Che compare! Che compare! - e in queste parole il compare le conficcò ferocemente una baionetta nel ventre, e uccise in un sol colpo lei e la creatura che portava nelle viscere. Un bambino di pochi anni fu afferrato da due assassini per le gambe e squartato. Una serva, folle di terrore, era riuscità a rifugiarsi in cantina e a nascondersi dietro una botte. Ma, poco dopo, essendo quei carnefici scesi laggiù per ristorarsi, nell'orgia, della fatica e dell'affanno della lunga strage, la scoprirono al respiro rotto e affannoso del terrore; e lì, dietro la botte, la scannarono. Poi riunirono in mucchio tutti quei corpi trafitti, straziati; gittarono sulla catasta materassi, pagliericci e mobili d'ogni genere, e appiccarono il fuoco. Ma due di quei disgraziati, il padre di famiglia ed uno dei figli, non erano morti del tutto; e, mentre i sicarii s'erano sparsi per la casa a frugare, a scassinare, a fracassare, a rubare, poterono, a poco a poco, liberarsi, strisciando, da quel funebre mucchio sanguinoso e fiammante; e, così come si trovavano, con la gola squarciata, e crivellati di altre ferite, riuscirono, con la forza della disperazione e dell'oltraggiato istinto della vita, a saltare da una finestra bassa e a trascinarsi fino alla vicina chiesuola. Là, quei due cadaveri sanguinolenti, attaccati alla fune della campana, si dettero, come potevano a sonare l'allarme. Fuggirono in fretta gli assassini; accorse gente da ogni parte, e, arrivati in chiesa, inorridirono a vedere lo scempio di quegli sciagurati, che tutti credevano riposassero, a quell'ora, tranquillamente nel loro letto. Essi erano già sfiniti e morenti; ma, prima di morire, il padre potè parlare, nonostante che le parole spesso gli sfuggissero dalla gola squarciata. Egli parlò, e tanta strage non rimase senza vendetta. Mentre esprimeva col torcer degli occhi, coi fremiti, la sua cupa disperazione per quell'ecatombe di tutta la sua stirpe, egli potè rivelare i nomi dei principali carnefici, e i suoi terribili sospetti su colui che aveva, di lontano, meditata e preparata la strage. La giustizia procedè inesorabile. Tutti gli assassini e il loro mandante furono arrestati e condannati alle pene più gravi. Il capo della banda era Riginaldo Scaricamazza, sarto di professione, violento e simulatore, il quale, per il suo mestiere, aveva l'entratura nelle migliori case della contrada. La sua banda, si riuniva solo di notte, quando bisognava agire e c'era qualche gran colpo da fare; poi, il giorno, ognuno tornava a casa sua e al suo ufficio, e tra loro non mostravano, sto per dire, neppur di conoscersi. La mattina presto dopo quella notte di sangue, si presentò improvvisamente a casa nostra, in Colledara, Riginaldo Scaricamazza in persona; egli era sarto di famiglia, ma non conosciuto da nessuno per quella iena che veramente era. Aveva con sè una pentola piena di anguille, che, secondo egli disse, aveva prese con la fiocina, durante la notte, come sogliono i nostri contadini, per farne un regalo al mio nonno, il quale ne era molto ghiotto. Le anguille erano, naturalmente, state prese da altri e dovevano servire a procurare un alibi al brigante. Brozzi dista parecchi chilometri da Colledara, ed egli aveva dovuto correre colla rapidità d'una belva per essere in quell'ora a casa nostra con quella faccia imperterrita e fresca e tutto sorridente, e per aver trovato modo, come poi si seppe, di chieder ricovero per qual che ora della notte in una solitaria casa di campagna. Là, mentre sedeva con quella famiglia di contadini, davanti a un bel fuoco acceso per lui, che era, o fingeva di essere, intirizzito dal freddo, mentre dico si trovava davanti a quella bella allegria della fiamma, si lasciò sfuggire, come a caso, la domanda: - Quanto c'è per Natale? - Tanti giorni - rispose uno; e parlarono d'altro, senza che nessuno potesse sospettare che quella domanda era stata fatta per fissare una data e per procurare, nel caso, una valida testimonianza. Egli, dunque, come dicevo, arrivò a casa nostra la mattina per tempo con le anguille; ma, dopo qualche ora, mentre si trovava sempre a discorrere con quei di casa, ecco improvvisamente spargersi il grido e l'esecrazione dell'orrendo misfatto. Lo Scaricamazza si mostrò stupefatto e atterrito, non meno degli altri, e bestemmiava contro la nequizia dei tempi e degli uomini. E, avendogli, in quei discorsi, qualcuno della famiglia domandato se, per conto suo, in quei tristi momenti, non trovasse pericoloso l'andar la notte, solo solo, alla pesca delle anguille, mostrò, aprendosi la giacchetta e con un fiero lampeggiare d'occhi e un ghigno felino, il manico d'uno stile che gli usciva dalla tasca interna: certo quello stesso che era servito alla bestiale carneficina. Ma, come ho detto, nessuno immaginava allora chi egli fosse in realtà e quanto sangue avesse sulla coscienza. Egli riuscì a sfuggire alle mani della giustizia, e riparò, come si disse, in Grecia, e non se ne seppe poi più nulla. Solo molti anni dopo, i giornali portarono la notizia, sbagliandone il nome in Rinaldo Scaramazza, che fosse stato preso; e mio padre fu chiamato ad esaminare una fotografia dell'arrestato. Ma essa non somigliava punto a Riginaldo, il quale, in quel momento, non si sa neppur se fosse vivo. Tanto gli uomini si rassegnano mal volentieri a vedere impunita, o, meglio, invendicata la colpa, e non vogliono mai ricordarsi che, alla peggio che possa andare, c'è, supremo trionfo dell'equilibrio, la spaventevole eternità dell'Inferno. |
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Sommario Testo: 1 - Colledara e il Gran Sasso; 2 - I nonni; 3 - L’eccidio di Brozzi; 4 - L’Italia una e indipendente. Garibaldi; 5 - I briganti; 6 - La famiglia si trasferisce a Teramo; 7 - La madre di Fedele; 8 - Il padre di Fedele; 9 - Lo studio del padre; 10 - Le persone del villaggio; 11 - La chiesa di Colledara; 12 - Il pranzo; 13 - Il ballo; 14 - La vita a Colledara |
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