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Renata Ronchi Vincenzo Rosati: epistolario, in: "Notizie dalla Delfico", 2005/3
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2. Donazione Rosati | 3. Epistolario | 4. Indice | |
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2. La donazione Rosati |
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Con l’articolo “La Biblioteca “M. Delfico” nell’anno XX” pubblicato sul periodico “Il Solco”[1] dell’8 Dicembre 1941, Grazia Salvoni Savorini nell’esporre i criteri e gli indirizzi seguiti per l’accrescimento della fiorente istituzione da lei diretta, annoverava “tra i generosi donatori cittadini, un insigne abruzzese, l’ingegner Vincenzo Rosati”. Da qui ebbe inizio tra i due una fitta corrispondenza. Con missiva del successivo 15 dicembre, l’ormai ottantaduenne Vincenzo Rosati si rivolgeva alla Savorini, “eletta immagine di vostro padre che visse con me fraternamente”, pregandola di sollecitare l’ebanista Vincenzo Ercole Orsini perché si affrettasse a realizzare i mobili che avrebbero dovuto accogliere le sue collezioni alla cui catalogazione stava attendendo nella tranquilla atmosfera della propria villa di Ponzano di Civitella del Tronto in cui si era ritirato al termine di una laboriosa ed onorata vita di lavoro. Rammaricato per le difficoltà che incontrava a causa della guerra ancora in corso, continuò a tenerla costantemente aggiornata sull’attività di riordino del materiale raccolto a cui dedicava, malgrado l’età, le sue “forze non ancora sopite”. Tuttavia la “buona signora”, come egli la chiamava, prematuramente scomparsa, non ebbe il tempo di vedere accresciuta la nobile istituzione con l’acquisizione della raccolta. Sicché nel 1943, quando tutto era ormai pronto per la consegna, il Rosati si rivolse al nuovo direttore, monsignor Giovanni Muzi, per sapere quali fossero le formalità burocratiche da espletare per procedere alla donazione del materiale allo Stato, che a sua volta avrebbe dovuto destinarlo alla Biblioteca del Convitto Nazionale di Teramo. Il consiglio ricevuto fu quello di donare il tutto “puramente e semplicemente alla Delfico” perché solo così avrebbe potuto avere la certezza che la raccolta rimanesse dove egli desiderava fosse conservata[2]. Quindi, con lettera allegata al proprio testamento olografo datato 15 Settembre 1943, raccomandò alla propria nipote Jole Rosati in Ronchi, rimettendo l’esecuzione del legato alla sua coscienza, di consegnare alla Biblioteca del R° Liceo Melchiorre Delfico di Teramo, dietro garanzia della migliore custodia da parte degli enti locali e con l’assicurazione che il tutto sarebbe stato conservato “in modo conveniente e senza tema di dispersione”[3], i quadri esposti nel salone di Ponzano, la collezione di fotografie e disegni riguardanti opere eseguite nelle officine delle scuole da lui dirette, libri d’arte e vari cimeli tombali. Ma al “Fondo Rosati”, costituito solo nel 1951, non toccò la sorte che il suo donatore avrebbe desiderato. Di recente infatti la raccolta è stata smembrata con il trasferimento nel Museo civico di Atri, che al Rosati studioso di archeologia ha intitolato una sala, dei numerosi reperti recuperati negli scavi eseguiti non solo in Atri ma anche a Penne e in altri luoghi della provincia. Penso comunque sia ancora possibile un accurato e complessivo studio di questo fondo, onde poter meglio conoscere la figura del Rosati educatore, pittore, scultore, ceramista, ingegnere, architetto, archeologo, e per ricostruire uno spaccato del periodo in cui egli visse, che abbraccia gli ultimi decenni dell’800 ed i primi quaranta anni del ‘900. Dell’ingegner Rosati, artista autentico e sensibile, lungo i luminosi corridoi della biblioteca Delfico si possono ammirare acquerelli eseguiti con tecnica ineccepibile: prati in fiore, verdi uliveti, uno straordinario viso di giovane contadina e poi ritratti di vecchi i cui volti portano i segni del tempo inesorabilmente trascorso. Una pittura che risente della formazione dell’autore nella scuola napoletana di fine ottocento, spesso in bilico tra verismo ed impressionismo. Studi i suoi. Quindi assai raramente firmati! Come nemmeno firmati sono i numerosi disegni a carboncino, a china, a guazzo ed altri acquerelli conservati negli archivi della biblioteca. E’ dal loro esame, unitamente a quello dei numerosi dipinti con dedica da lui ricevuti in dono dagli amici pittori Casciaro, Diodati, Muzii, Zonaro, Esposito, Gianfante ed esposti nelle varie sale della biblioteca, che potranno essere meglio delineati i contorni di questo artista rigoroso e di sicuro talento. Un suo ritratto ad olio a grandezza naturale, opera di Lorenzo Astolfi, campeggia maestoso e severo nella sala del direttore della biblioteca, Luigi Ponziani. Uno dello zio Pietro, latinista di fama internazionale che nel certame di poesia latina di Amsterdam conseguì per ben 18 volte la “magna laus” e l’onore della pubblicazione, è sistemato nella sala dei Fondi antichi. Ed ancora in altri siti della biblioteca, abbellendola e dandole prestigio, sono collocati due suoi ritratti giovanili, l’uno opera di Fausto Zonaro e l’altro eseguito a più mani da Alfonso Muzii, Antonio Gianfante e Gaetano Esposito. Altre pregevoli opere dei suoi amici, come pure due suoi studi in creta, l’uno del giovane “Camarzuolo” e l’altro della vecchia Giulianella, si trovano nei corridoi al primo piano della biblioteca. Concentrare tutto in una o più sale contigue per facilitare il compito ai numerosi studiosi che accedono alla prestigiosa istituzione teramana? Proposta da discutere, perché se è vero che da un lato il fondo verrebbe a riacquistare la sua unitarietà, dall’altro la biblioteca correrebbe il rischio di venir meno alla propria funzione, trasformandosi in museo. Certo che la messe del materiale cui attingere è assai ampia: documenti che attestano l’infaticabile opera del Rosati nelle scuole di Arti e Mestieri da lui dirette, nonché i delicati mandati ispettivi affidatigli dal Governo e le onorificenze di cui fu insignito; relazioni stilate alla fine di ogni anno scolastico con esattezza e puntiglio; una ricca collezione di fotografie del mondo orientale e numerose altre foto che mostrano il legame che lo univa ad amici e parenti nonché le sue importantissime scoperte archeologiche e i lavori fatti realizzare nelle varie scuole; un ricco epistolario, solo in parte conservato dalla biblioteca, che testimonia la fitta e salda rete di rapporti che strinse nei vari ambienti in cui si trovò a vivere ed operare e da cui emergono aspetti salienti della vita del suo tempo. Testimonianze fotografiche, epistolari, documentarie ed artistiche, prezioso materiale di studio per approfondire la conoscenza di realtà, di ambienti di vita e di lavoro di un’epoca e per ricostruire i multiformi aspetti di questo personaggio di stampo rinascimentale, purtroppo ancora pressoché ignorato nel suo paese. Desiderosa di iniziare una ricerca sulla figura dell’ingegner Rosati, volta a porre in luce l’infaticabile sua attività, ho pensato quindi di attingere al Fondo custodito dalla Delfico e mi si è offerta in primis l’opportunità di collaborare con il dottor Fausto Eugeni all’esame dell’ importante collezione fotografica conservata negli archivi, al fine di selezionare le foto più significative da inserire nel volume “Fotografie della Collezione Rosati” edito dall’Edigrafital[4]. Contemporaneamente ho ritenuto importante leggere attentamente e trascrivere le numerose lettere che il Rosati scambiò con amici, parenti, intellettuali, perché l’epistolario mi è sembrato un corpus ricco di riferimenti essenziali per confutare le ipotesi formulate in una prima fase del mio lavoro al termine del quale, un ringraziamento particolare al direttore Ponziani per la cortese disponibilità; a Marcello Sgattoni per il sostegno nella fase della consultazione; a Fausto Eugeni per l’attiva collaborazione e la paziente, insostituibile guida nel momento del riordino del copioso materiale. [1] Cfr “Il Solco”, periodico ufficiale della Federazione Fascista, 8 Dicembre 1941. Dall’articolo di Grazia Salvoni Savorini “Una fiorente istituzione teramana: La Biblioteca “M. Delfico” nell’anno XX” […] Ho esposto più volte i criteri e gli indirizzi seguiti dalla Direzione della Biblioteca per l’accrescimento del materiale librario […]. Il generoso interessamento da parte di Enti e di persone non è mai venuto meno, anzi con gli anni ha accennato a divenire sempre più intenso […]. Tra i generosi donatori cittadini, le cui espressioni di interessamento racchiudono un profondo valore spirituale, ricorderò […]. Un insigne abruzzese, l’ingegner Vincenzo Rosati, collocherà in una stanza, gentilmente concessa dal Rettore del Convitto Nazionale, una raccolta di disegni e di fotografie di lavori artistici e un numero notevole di quadri e di libri che saranno contenuti in armadi appositamente costruiti”. [2] Cfr lettera n°152 di Giovanni Muzi a Vincenzo Rosati, 5 Luglio 1943, archivio della Delfico. [3] Cfr lettera n°151 di Vincenzo Rosati a Giovanni Muzii, 23 giugno 1943, archivio della Delfico. [4] Fotografie del fondo Rosati, a cura di Fausto Eugeni, Gaetano Ronchi, Renata Ronchi, S. Atto di Teramo, Edigrafital, 2004, in Scatti d’Epoca. Collezione abruzzese di fotografia storica. |
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