delfico punto it - l'abruzzo e l'abruzzesistica - storia, bibliografia, fotografie, documenti  - a cura di fausto eugeni

 

www.delfico.it

delficopuntoit - l'abruzzo e l'abruzzesistica

www.delfico.eu




 

Indice dei testi | home page

 

 

La Teramo dei riverberi

di Lucio De Marcellis e Fausto Eugeni 

tratto da "Il Donatore", 2007

   

Gianfrancesco Nardi: Il riverbero sul Trivio, davanti al Duomo di Teramo
(da Ricordi di Teramo, 1881)
.
 


     L’esercito francese di occupazione entrò in Teramo (“pacificamente” tiene a precisare Savini) nel febbraio del 1806. Negli otto anni (1806-1814) segnati dalla presenza in Italia dei francesi, la macchina amministrativa dell’intero Regno di Napoli fu completamente riorganizzata. A Teramo, nel corso del 1811, mentre venivano sistemate ad ogni porta “mattonelle numerate” e a ogni capostrada “tavolette” di maiolica con la denominazione assegnata, si impiantò anche la prima serie di lampioni pubblici “a riverberi”, poco più di una decina, lungo il corso di San Giorgio e del Trivio, nelle piazze “di sopra” e “di sotto” e all’ingresso della vecchia Intendenza. 

     Con l’installazione avvenuta nel 1811 della prima serie di lampioni “a riverberi” (vedi nota) fu esaudito un desiderio, da tempo diffuso tra i cittadini teramani, di una illuminazione pubblica che rendesse più comodo e sicuro il transito lungo le strade nelle ore serali e notturne. Fino a quel momento solo qualche rara bottega e alcune tra le più importanti abitazioni private erano dotate di una qualche lucerna sull’ingresso esterno. Per il resto le strade, dopo il calare del sole, piombavano nel buio più fitto nel quale i passanti non distinguevano neppure la propria sagoma: era indispensabile dunque avanzare alla luce di una lanterna tenuta alta con il braccio o sulla cima di un bastone, in modo da illuminare quanto meno il tratto di strada davanti ai piedi.

     I “riverberi”, alimentati a olio, presentavano una “lanterna” formata da una coppa in rame, colonnine in ferro argentato e sportelli di cristallo; la lanterna era sostenuta da un braccio in ferro che veniva fissato al muro e manovrata attraverso un cavo a saliscendi che consentiva all’accenditore di portare la lanterna alla propria altezza per aprirla e dare fuoco allo stoppino. Potevano essere “a due” o “a quattro” luci. L’accensione di ciascun riverbero era abbastanza laboriosa e richiedeva diversi minuti.

     Venivano impiantati “agli spicoli” di alcune case, in punti strategici, in modo da illuminare i luoghi più significativi e, al tempo stesso, da rendersi visibili da più strade. Il regolamento, redatto sulla falsariga di quello in uso a Napoli, prevedeva l’accensione dal tramonto all’alba, con ispezione ogni due ore. I lampioni venivano lasciati spenti per otto giorni al mese, in coincidenza con il plenilunio ma solo nelle serate senza di nuvole. Nei mesi estivi alcuni riverberi venivano dislocati dal centro alla “passeggiata” fuori San Giorgio (la piazza, viale Bovio e i Tigli).

 

Salvatore Di Giuseppe, Riverbero situato sul lato a mezzogiorno del Convento dei Cappuccini.
Il riverbero qui raffigurato rende l’idea della tipologia dei primissimi lampioni impiantati a Teramo.
(Dipinto di fine Ottocento)
.
 

     La loro capacità naturalmente era molto limitata. Funzionavano più che altro come punto di riferimento, come fari lontani nella notte verso i quali dirigersi. Tra un riverbero e l’altro la distanza era notevole e i passanti ripiombavano spesso nella più totale oscurità. D’altra parte la qualità della luce di ciascun riverbero dipendeva dalla qualità e dalla quantità dell’olio combustibile impiegato oltre che dalla integrità e solidità dei fanali: se infatti anche uno solo dei cristalli laterali era mancante il vento spegneva irrimediabilmente la fiamma.

     Molto ambigui erano i contratti di appalto del servizio che costringevano a forti ribassi sui quali gli “accenditori” tentavano poi di riguadagnare lesinando su tutto: sull’olio usato, sul tempo impiegato, sulla sostituzione dei pezzi che inevitabilmente si deterioravano o venivano infranti in seguito ai ripetuti vandalismi. Né i solleciti, né gli aperti richiami, né le minacce di arresto da parte dei pubblici amministratori riuscirono mai a rendere più efficiente il servizio e più attivo l’impegno degli appaltatori che ricorrevano a suppliche e lamentele per strappare un qualche ulteriore vantaggio.

     Fu questo dei Riverberi l’unico sistema di illuminazione in uso nella Teramo borbonica: dai tredici punti luce del 1811, ai 36 del 1841, ai 50 del 1860. Dallo stile semplice ed essenziale, quasi spartano, dei primi, si passò allo stile più raffinato dei modelli scelti nel 1841dall’Intendente Spaccaforno o di quelli con la base in pietra installati a porta Madonna tra il 1852 e il 1860. I riverberi finirono per diventare un importante elemento dell’arredo urbano e resero comunque più bella la città di Teramo.

Gianfrancesco Nardi, Il riverbero di Porta Madonna. A partire dal 1844 la porta, unico ingresso ufficiale in città riservato alle carrozze, fu dotato di un riverbero fisso. Nel 1852 fu impiantato il nuovo modello con la base in pietra raffigurato nella foto (da Ricordi di Teramo, 1881).

     È soprattutto grazie al fotografo Gianfrancesco Nardi che possiamo oggi disporre di una qualche documentazione visiva sulle tipologie di quei lampioni ottocenteschi: in più occasioni Nardi infatti li incluse spesso nelle sue inquadrature a “far da quinta” a scorci e vedute.

     Per la cronaca, va ricordato che nel 1856 il Municipio teramano fu costretto a rifiutare, a causa degli eccessivi costi, un avveniristico progetto di illuminazione pubblica a gas, stilato sul modello del sistema già adottato nelle maggiori città italiane.

     L’inefficienza del sistema dei riverberi si rese però subito evidente anche alle nuove autorità che dopo l’Unità d’Italia subentrarono nell’amministrazione della città. “Rimango stupefatto!” scriveva il Prefetto Nicola Attanasio al Sindaco Berardo Trosini “Sono circa le 8 della sera e le strade di questa città trovansi nel buio il più perfetto: la serata campale aggiunge all’orrore dell’oscurità.”. Quanto mai imbarazzata la risposta vergata frettolosamente dal Sindaco e subito riconsegnata al messo del Prefetto nella quale l’inesperto primo cittadino doveva ammettere che nel nuovo contratto di appalto per la pubblica illuminazione era stata predisposta solo la sospensione del servizio nelle sere di luna, senza prevedere l’eccezione del cielo coperto per maltempo, proprio come nel caso del violento temporale di quella sera del 3 ottobre 1862.

     Tra il 1863 e il 1864 il Comune di Teramo decise di abbandonare l’illuminazione alimentata a “riverberi” per quella cosiddetta “a lucillina”, sistema più economico e al tempo stesso più efficiente che non prevedeva la sostituzione degli antichi lampioni molti dei quali restarono al loro posto fino all’avvento della luce elettrica, nell’anno 1900. 
 
     NOTA: Nella lampada a riverbero si utilizza uno schermo metallico concavo che ha la funzione di  riflettere e concentrare la luce del lampione verso le zone di territorio interessate, evitando la dispersione del flusso luminoso in tutte le direzioni.  
 

 Gianfrancesco Nardi: illuminazione in via Delfico.
a sinistra il riverbero all’angolo con la via del Moro (oggi via Carlo Forti);
a destra si nota invece un lampione “privato” che mostra delle bottiglie appese sull’asta certamente ad indicare la presenza di una cantina (da Ricordi di Teramo, 1881).

 
 
 
 
 
 
 
 
 

grazie a Massimo per lo sfondo della pagina, lo stesso in uso su www.defilippis-delfico.it

torna su