delfico punto it - l'abruzzo e l'abruzzesistica - storia, bibliografia, fotografie, documenti - a cura di fausto eugeni
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GAMBACORTA: Il suo libro s’intitola “Atlante Storico della Città di Teramo”: per iniziare spieghiamo a chi ci legge di cosa si tratta.
EUGENI: In questo volume si trovano raccolte le più importanti e significative immagini della città di Teramo prodotte attraverso sei secoli di storia. Si tratta, come indicato nel sottotitolo, di vedute, incisioni, planimetrie, dipinti, fotografie, eseguite dal 1410, presunta data del Polittico di Jacobello del Fiore, fino alle prime foto aeree della città, scattate tra il 1927 e il 1934. Di ciascuna immagine o gruppo di immagini è stata redatta una scheda anagrafica e descrittiva, completa di riferimenti bibliografici.
G. Come e quando ha iniziato a pensare a questo libro?
E. Nel mio lavoro presso la
Biblioteca Delfico di
Teramo, mi sono spesso trovato a contatto con il pubblico e con le
informazioni bibliografiche. Il tema della città di Teramo, con la sua
immagine e le sue rappresentazioni è stato senz’altro tra quelli più
ricorrenti. In questo modo ho iniziato a raccogliere dati e riferimenti
e a formare un repertorio di vedute e di piante che poi, nel corso del
tempo è diventato sempre più corposo. Quando mi sono reso conto che nella varia letteratura esistente, pur in presenza di ottimi studi urbanistici e di corpose raccolte iconografiche su Teramo, non esisteva alcun censimento sistematico delle immagini, mi sono convinto che forse valeva la pena di dare alle stampe quella mia collezione che cominciava a contare diverse decine di pezzi e grazie alla quale mi sembrava che si potesse rispondere efficacemente alle tante esigenze dei vari ricercatori.
G. E poi quest’idea come si è sviluppata?
E. Nel 2004 si è conclusa la mia esperienza con "Scatti
d'epoca", una collana abruzzese di fotografia storica, curata per l'Edigrafital,
che mi ha impegnato per almeno sei anni, con la pubblicazione di dodici
volumi. Chiuso quel capitolo per me importantissimo, i cui risultati ho
poi ampiamente utilizzato anche nell’Atlante, ho avuto il tempo di
dedicarmi al progetto di censimento generale delle immagini di Teramo al
quale pensavo da tempo e che mi ha portato nei quattro anni successivi,
a visitare di persona o a consultare “a distanza” archivi e biblioteche,
in Abruzzo e fuori.
Sono arrivato così a raccogliere un’ottantina tra immagini singole e
gruppi di immagini tra loro collegate da un qualche denominatore comune.
Le ho schedate, studiate e messe in fila in ordine cronologico,
facendole precedere da una breve introduzione generale. Pensavo di farne
un articolo, illustrato al massimo da una decina di pezzi, da
pubblicarsi alla prima occasione, in rivista o in volume miscellaneo.
G. Quanto tempo ha lavorato al libro?
E. I lavori di censimento del materiale e di preparazione del volume hanno impegnato quasi tutto il mio tempo libero degli ultimi quattro anni.
Qui naturalmente non sto calcolando tutto quel lavoro, diciamo, “polverizzato” nel tempo, i tanti confronti con gli interlocutori più diversi su aspetti a volte minimi delle singole tavole, un edificio, una strada, una piazza, un giardino, un confine su cui di volta in volta si focalizzava la ricerca.
G. Può descrivere, anche sinteticamente, tutte le singole fasi di lavoro attraverso cui dall’idea iniziale è giunto alla pubblicazione?
E. Alla base di tutto, come ho già detto, c'è stato il lavoro di censimento del materiale.
Ottenuta una copia ben leggibile di ciascuna immagine, ho redatto la scheda base, con i dati anagrafici certi o presunti, con una prima descrizione generale e con l’individuazione delle principali emergenze così come riuscivo a identificarle.
Ogni scheda si chiude con la serie dei riferimenti archivistici e bibliografici, oltre agli eventuali opportuni collegamenti ad altre immagini.
G. Quale tipo di lavoro di ricerca ha dovuto attuare per reperire i materiali e i documenti?
E. Le notizie sono state raccolte nei modi più diversi.
C’è stato un lavoro sistematico di ricognizione su libri, fondi archivistici e collezioni private. Quindi il lavoro di spoglio su bibliografie, indici di riviste, inventari con visite a vari archivi e biblioteche, in Abruzzo e fuori.
Qualche risultato è derivato anche dalla ricerca in internet e in particolare dalla consultazione di cataloghi in linea e da contatti tenuti per posta elettronica.
Un contributo di enorme rilievo è venuto da parte di studiosi ed amici che, con le loro segnalazioni, mi hanno permesso di arricchire in modo significativo la raccolta del materiale. Di tutti, e spero di non aver dimenticato nessuno, ho dato conto nella tavola dei ringraziamenti, nelle didascalie o in nota.
G. Quali sono state, se ci sono state, le difficoltà maggiori in questo senso?
E. Le difficoltà sono state molte e di vario tipo. Qui va aperto il discorso sulla completezza della ricerca proposta e su questo punto è il caso di soffermarsi un momento.
Da un lato devo sottolineare che nella stessa Teramo ci sono stati archivi pubblici (e non sto qui a farne l'elenco) inaccessibili o accessibili solo in parte e con grande difficoltà.
C'è stato poi il problema di raggiungere gli archivi lontani, a cominciare da quelli delle amministrazioni centrali che si sono succedute prima e dopo l'unità d'Italia e sarebbe stato quanto mai utile, al riguardo, poter lavorare per un tempo adeguato, quanto meno sugli archivi di Stato di Roma e Napoli, senza contare gli archivi militari.
Ma dobbiamo pensare anche al fatto che nel corso dei secoli l'Abruzzo è stato attraversato e occupato da vari eserciti stranieri: spagnoli, austriaci e francesi. È chiaro che negli archivi centrali o militari di queste nazioni possiamo aspettarci di recuperare importanti documenti anche grafici e visivi su Teramo.
È inutile dire che per realizzare tutto questo ci vogliono tempo e soldi. La mia invece è stata una iniziativa del tutto personale, portata avanti nei ritagli di tempo e che non si è avvalsa di alcun tipo di finanziamento, a parte le spese di pubblicazione che sono state affrontate e gestite dall'editore.
Le mie spedizioni fuori Teramo e fuori d’Abruzzo sono state sempre occasionali, all’insegna del “mordi e fuggi”. Numerose richieste di informazioni in Italia e all’estero le ho inviate per email ma le risposte sono state quasi sempre minime.
Bisogna capire d’altra parte che il personale di archivi e biblioteche può effettuare solo controlli "rapidi" su cataloghi, indici e inventari ma certo non si può pretendere da nessuno il gravoso impegno di una certosina passata al setaccio dei singoli faldoni.
Questo significa che la ricerca avviata con l’Atlante ha ampi margini di approfondimento. Non solo per gli archivi esistenti fuori dall'Abruzzo ma, nella stessa Teramo, per gli archivi oggi chiusi o semichiusi ma che un domani, si spera, potranno essere pienamente fruibili.
Voglio poi dire che sicuramente molte sorprese usciranno in futuro dalle case dei teramani, dagli album di famiglia e dalle collezioni private. In questo senso la difficoltà è di sensibilizzare le persone nel modo giusto perché sono troppi coloro che o sottovalutano l’importanza delle proprie raccolte o, al contrario, ne sono gelosi oltre ogni ragionevolezza.
G. Che tipo di patrimonio iconografico è quello raccolto nell’“Atlante”?
E. È un patrimonio molto vario. Non solo per la diversità degli stili e delle tecniche, ma anche per i livelli molto diversi di qualità, di pregio, di tonalità emotiva dei contenuti. Diciamo, per capirci, che abbiamo tenuto conto di tutto quello che in qualche modo faceva "documento" o dava un contributo anche minimo alla storia dell'immagine di questa città.
G. C’è qualche “perla” di cui è particolarmente orgoglioso?
E. Per la copertina abbiamo scelto un pezzo bellissimo e assolutamente inedito, la pianta di Teramo eseguita nel 1860 da Baldassarre De Müller. La scoprii a Napoli, casualmente, diversi anni fa e ho sempre rimandato la sua pubblicazione cercando l’occasione adatta che, finalmente, con l’Atlante, si è presentata.
Baldassarre De Müller
Per il resto ci sono state diverse immagini che mi hanno veramente emozionato e che mai avrei pensato che potessero esistere. Ma non voglio indicarne nessuna in particolare perché correrei il rischio di essere ingiusto con i rispettivi proprietari citandone alcune e tacendo invece di altre.
Credo piuttosto che sia importante l’insieme della raccolta, il “corpus” come si dice in gergo, ed evidenziare la corale generosità degli enti e dei privati collezionisti che hanno messo a disposizione le proprie raccolte.
C'è un'altra cosa di cui sono orgoglioso e mi riferisco all'Esergo, un ritaglio da un testo di Giuseppe Longhi (1766-1831), incisore egli stesso ma soprattutto docente e direttore della scuola d'incisione presso l'Accademia di Brera che con quelle parole si rivolgeva ai suoi studenti. Sono parole che nella loro complessità hanno una grande forza evocativa, giocata su di una efficace metafora della condizione umana che contrappone le "fragili stampe", simbolo di una “fragile umanità”, ai potenti che, a proprio piacimento, per soldi e per affari, possono distruggere, costruire e poi ancora distruggere, se vogliono, ma che alla fine non hanno armi contro la straordinaria forza della memoria che le immagini posseggono, sia in sé stesse che nel loro moltiplicarsi e diffondersi.
G. A me, ma non solo a me, il suo libro è parso un enorme contributo alla storia della Città di Teramo: volendo andare nello specifico, quali sono, a suo avviso, i punti in cui si precisa questo contributo?
E. In generale l’Atlante può fare da griglia di riferimento per orientarsi all’interno di ogni cronologia degli eventi edilizi e urbanistici che sia necessario costruire o anche per datare e valutare le nuove immagini che potranno essere scoperte in seguito.
Ci tengo a sottolineare poi che mentre scrivevo avevo in testa persone concrete alle quali di volta in volta immaginavo di rivolgermi. Se ci rifletto, ogni parte, ogni pagina e forse anche ogni “scheda” di questo libro è stata pensata per qualcuno in particolare.
Mi riferisco ai tanti con i quali sono entrato in contatto in tanti anni di lavoro: gli storici, i tecnici, gli studiosi d’arte, i giornalisti, i colleghi archivisti e bibliotecari ma anche qualche amico con il quale condivido l’interesse per le vicende di questa nostra città.
G. Se dovesse utilizzare una formula per definire le evoluzioni e le trasformazioni urbanistiche e territoriali di Teramo, cosa direbbe?
E. Ho difficoltà a individuare una formula. E poi non sono né uno storico né un urbanista e in questo senso quindi non credo che la mia opinione personale abbia una particolare importanza.
Però non voglio sottrarmi completamente alla domanda e, sperando di bene interpretarne il senso, faccio riferimento alle parole che Luigi Savorini scriveva su Teramo in uno dei suoi articoli degli inizi degli anni ’30: “Oggi Teramo è una città non grande … - scriveva Savorini - graziosa e vivace … con le sue vie spaziose e regolari, con le sue case intonacate e tinteggiate a chiari colori, … interessante per avanzi archeologici e per chiese e palazzi medioevali … illeggiadrita dalle zone di verde … pei giardini che s'aprono nell'interno tra un caseggiato e l'altro e per gli orti e i parchi che all'esterno le fanno corona. Una città gaia, dunque, anche per l'amabilità dei suoi abitanti. Una città che … per la sapienza di alcuni suoi figli nobilissimi meritò il titolo di Atene degli Abruzzi”. Per quanto l’occhio di Savorini - che molto amava Teramo - sia benevolo e di parte, basta sbirciare le piante e le foto di quegli anni, soprattutto quelle aeree, per rendersi conto che quella descrizione aveva un suo solido fondamento.
Luigi Savorini
Naturalmente un raffronto alla Teramo attuale penso venga spontaneo a tutti anche se va operato nel senso giusto. Per quanto mi riguarda sono molto colpito dalla descrizione di una Teramo che almeno in parte mi sembra ormai perduta, ma lo sono molto di più per i valori che questa descrizione implica e quindi per il tipo di qualità della vita che sulla base di tali valori può essere ancora oggi perseguita.
Proprio qualche giorno fa, in televisone, Salvatore Settis, direttore della Normale di Pisa e Presidente del Consiglio superiore per i Beni culturali, richiamava con forza l’attenzione dell’opinione pubblica sull’emergenza paesaggio che sempre più interessa il nostro paese.
Fondamentale su tale strada è il lavoro di sensibilizzazione delle coscienze, soprattutto sui legami esistenti tra i concetti di paesaggio, ambiente e territorio, attraverso i quali si osserva e analizza lo spazio che ci è dato. In proposito, per quanto riguarda Teramo e la sua provincia, sono di grande interesse i più recenti scritti di Gianpiero Castellucci (La selva, il prato, l'oliveta e l'orto. Paesaggio e identità di Teramo e della valle del Tordino nella lettera di Campano al cardinale di Pavia, Archeoclub d'Italia. Sede di Teramo. Quaderno 11) che, con grande lucidità e ampiezza di idee, muovono proprio in questa direzione cercando dalle descrizioni e dalle immagini del passato, le invarianti e le chiavi interpetative del Paesaggio Storico di Teramo e della Valle del Tordino per poterle confrontare con quelle del presente e proiettarle nel futuro della città
G. Un punto che merita d’essere messo in luce è lo scrupolo del suo lavoro. Vorrei descrivesse, in generale, la strutturazione del libro, le parti in cui si articola?
E. Il libro contiene cento pagine di testo e ottanta di immagini in quadricromia.
Nelle pagine di testo, articolate in otto capitoli, con note alla fine di ciascun capitolo, sono contenute le 82 schede relative alle immagini, singole o in serie. Per comodità del lettore, insieme alle schede e alle descrizioni abbiamo inserito anche un richiamo alle immagini, in bianco e nero e in dimensioni ridotte.
Il testo è preceduto dalla presentazione dell’architetto Irene De Nigris alla quale mi sono spesso rivolto in questi anni per avere pareri su alcune delle immagini trattate. Anche in virtù delle sue specifiche competenze, sia in materia di storia urbanistica teramana che di storia dell’arte, soprattutto abruzzese era di certo la persona più adatta per costruire un discorso introduttivo a un lavoro come questo dell’Atlante.
Al testo dell’architetto De Nigris segue una mia breve introduzione, molto generale, con alcune indispensabili premesse storiche e di metodo.
Purtroppo a causa della pagine previste in numero fisso abbiamo dovuto rinunciare in questa fase alla redazione dell’indice analitico. Si è trattato di una decisione inevitabile presa tuttavia con grande rammarico perché la presenza di Indici analitici articolati in un lavoro di tipo scientifico è sempre di grande utilità. Abbiamo cercato di rimediare, almeno in parte, con la redazione di un sommario molto articolato che, insieme alla disposizione cronologica degli argomenti, facilita la consultazione.
Voglio sottolineare che la costruzione del libro ha presentato le sue notevoli difficoltà. Intanto non dimentichiamoci che scrivere è faticoso. Almeno per me lo è. Ed è stato faticoso anche costruire questo libro. Soprattutto è stato faticoso trovare e mantenere la coerenza di una struttura all’interno della quale materiali così compositi proprio non ne volevano sapere di stare zitti e buoni nel posto che avevo pensato per loro. Le tematiche si contrapponevano sistematicamente alle cronologie e viceversa. È stato come cucire un vestito su un corpo pieno di difetti. Solo grazie ai collegamenti narrativi l’insieme ha trovato alla fine una sua stabile fisionomia.
G. I singoli capitoli come sono organizzati? Sviluppano, ciascuno a proprio modo, uno schema-base?
E. La sequenza poteva essere strutturata in molti modi. Ciascun capitolo raccoglie un’epoca e/o una tematica. Una brevissima nota introduce le schede di ciascun capitolo. A Jacobello del Fiore e alla sua Teramo abbiamo voluto dedicare, per intero, come omaggio, tutto il primo capitolo.
G. Dunque l’impostazione dell’insieme è ispirata a precisi criteri…
E. A criteri di scientificità coniugati per quanto possibile con la massima semplicità di linguaggio.
G. L’“Atlante” è ricco di note bibliografiche: cosa ha significato corredare le pagine con questa folta messe di riferimenti?
E. A chi per lavoro, per curiosità personale o anche per caso avesse desiderio o necessità di riaprire e approfondire il discorso su qualcuna di queste immagini sarà utile avere a disposizione un elenco, cronologicamente ordinato, di scrittori che di quell'immagine si sono occupati, a proposito o a sproposito. In questo modo, mi auguro, risparmieranno tempo ed eviteranno omissioni. La bibliografia serve soprattutto a questo scopo, credo.
G. Il suo libro – ho pensato mentre lo leggevo – è una preziosa miniera di notizie per gli storici di professione, ma è anche un appassionate viaggio di scoperta, un viaggio nel tempo, che non dura fatica ad appasionare i profani. Come è riuscito a far convivere il valore scientifico con la capacità di coinvolgimento?
E. Questa considerazione mi fa particolarmente piacere perché proprio a questo ho mirato con maggior convinzione, forse più che ad altri obiettivi. E se il mio scopo è stato raggiunto, in tutto o in parte, ne sono felice.
Personalmente evito sempre ogni gergo e, per quanto possibile, ogni tecnicismo. Quando vi devo fare ricorso cerco di spiegare al meglio i termini che uso, rifiutando di presumere che il lettore debba necessariamente conoscere terminologie legate a particolari attività.
Voglio dire poi che ho cercato in tutti i modi di valorizzare la narratività insita in un tema come quello della costruzione dell’immagine di una città. Ogni singolo pezzo qui ha una sua storia fatta spesso di contingenze, di circostanze, di vicende umane che meritavano in molti casi di essere raccontate, semplicemente, così come le avevo registrate.
Intendiamoci, io non sono un appassionato di aneddoti o di curiosità storiche. Penso piuttosto che dati, informazioni e notizie storicamente rilevanti possano derivare a volte da notizie minime o da indizi assolutamente marginali. Nell’Atlante c’è più di un caso nel quale, proprio su basi minime ma significative e convergenti, ho potuto affermare con certezza o quanto meno lanciare l’ipotesi di certe datazioni e attribuzioni.
G. Il libro è dedicato alla memoria di Berardo Di Giacomo: vuole parlarmi di questa figura?
E. Con piacere. Il fatto di lavorare in Biblioteca mi ha
dato il singolare privilegio di conoscere, e a volte di entrare in
confidenza e amicizia con alcune persone assolutamente straordinarie.
Berardo Di Giacomo era una di queste persone. Dirigente comunale in
pensione, con vasti interessi culturali, più che un semplice filatelico,
era esperto di storia postale e grande collezionista di cartoline,
soprattutto teramane.
Le sue iniziative si sono sempre fatte ammirare per accuratezza e originalità e in una specifica nota bibliografica ho cercato di dare conto di tutta la sua attività. Brevemente posso citare qui, ad esempio, le varie monografie curate con l'associazione L'Incontro e la bella e riuscita mostra con relativo catalogo dedicata alla storia dei trasporti.
Nel 2004 pubblicò su Notizie dalla Delfico uno dei suoi articoli più belli, un intervento apprezzatissimo sui fiumi di Teramo, Tordino e Vezzola, sviluppato sulla base di cronache e memorie personali, illustrato con una deliziosa scelta di immagini. Tra il 2006 e il 2007 ha realizzato il suo ultimo lavoro, quella splendida raccolta di cartoline teramane, confluita nella mostra tenuta nel sottopassaggio di piazza Garibaldi e nel catalogo pubblicato proprio da Ricerche&Redazioni di Giacinto Damiani.
Non posso non ricordare con rammarico i due lavori che con la sua morte sono rimasti interrotti. Il primo che avevamo progettato insieme doveva portare alla redazione di un "Catalogo generale delle cartoline teramane", nel quale volevamo ricostruire l’intera cronologia delle serie uscite a partire dal 1899 fino agli anni Cinquanta. Avevamo preparato un primo elenco che aavremmo dovuto cominciare a integrare.
L'altro progetto invece era soltanto suo. Aveva cominicato a lavorarci quando con l'inaugurazione della nuova sede della Biblioteca avevamo creato l'archivio fotografico. Veniva quasi tutti i giorni e in silenzio si passava le buste del fondo Nardini alla ricerca di immagini relative al vecchio quartiere di Santa Maria a Bitetto. Anche quello era un quartiere legato in qualche modo alla sua infanzia e che conosceva benissimo del quale voleva ricostruire la controversa vicenda.
Voglio dire che Berardo era un uomo molto simpatico, gentile e sempre pronto a riconoscere i meriti altrui. Con Giacinto ci siamo trovati subito d'accordo nel dedicare alla sua memoria un progetto che se lui fosse stato vivo lo avrebbe visto di certo in qualche modo coinvolto. |
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Recensioni all'Atlante
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grazie a Massimo per lo sfondo della pagina, lo stesso in uso su www.defilippis-delfico.it |
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