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Rosa Di Benedetto
Silvio Cortellini:
un artista nel Parco Nazionale |
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Alla luce della maturità artistica ormai acquisita, le opere di Silvio Cortellini, esposte nel laboratorio presso la Foresteria del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, suscitano vivo interesse, sollecitando ad un’attenta analisi generale in rapporto alle origini, alla formazione e alla produzione presente, nei cui molteplici aspetti, contraddistinti dall’originalità e dall’immediatezza espressiva nelle quali Cortellini traduce la complessità delle sue emozioni, si intrecciano una singolare felicità inventiva, si direbbe liberatoria, ed una insistita ricerca, di ordine formale e concettuale, che tende all’assoluto della libertà come prima e incontestabile condizione della verità: dell’arte, in quanto a stile e temi, e di se stesso. Una verità tutta interiore, dalle istanze profonde, tratte dall’intimo del proprio essere: dove con l’ansia del fare si manifesta un’innata tensione alla trasfigurazione di concetti, immagini, sensazioni, in uno scandaglio di sé che piega le potenzialità comunicative della pittura, della scultura (e dello scrivere), e quindi del segno, del colore e dello stesso materiale, il cartone, utilizzato come spazio ed elemento creativo, all’unità di pensiero e sentimento in artistico operare. Fedele agli assunti iniziali di un’impellente esigenza espressiva, un vero fatto vocazionale, pur nell’evoluzione che lo ha portato a distaccarsi dalla rappresentazione figurativa a favore di un uso di volta in volta fauve, materico e/o espressionistico del colore, l’arte di Cortellini nasce e rimane tenacemente basata sui termini correlati di metodo e impulso, di cultura e istinto, studio e intuizione, di modo che i suoi segni, segnacci affettuosamente li definisce Vincenzo Torrieri, suo acuto e più profondo conoscitore, dispiegano uno snodarsi molteplice e simultaneo di forme evocanti ”un numero impressionante di concetti elaborati allo stato puro1 “ , nelle quali convoglia l’esito del meditato quanto tormentoso scavo nella propria interiorità. I cui dinamismi fluiscono nei ritmi e cromatismi della pittura, emozionale trascrizione di scansioni e compositi ideogrammi, quanto, per la scultura, in volumetrie plastiche, provviste, oltre le reminiscenze culturali che si richiamano alle tendenze rivoluzionarie delle novecentesche avanguardie, di una peculiare compattezza: duttile all’incontro di massa e di luce, con sinuosità appena in rilievo sopra superfici alterne di levigatezza e corporeità, spogliate dalle connotazioni individuali e simili a immagini totemiche o immaginari archetipi . Nato nel 1955, iniziò a dipingere a tredici anni con il pittore romano Alessio Menghini; frequentato il liceo Artistico di Teramo, alunno prediletto di Guido Montauti, insigne pittore e suo docente, ha esposto, dal 1975, in varie città del territorio; dal 1999, sempre in gallerie di prestigio, a Roma, Ferrara, Bologna; nel 2001 in Olanda e in Belgio. La precocità vocativa non sembra avergli in alcun modo nociuto, al contrario, “imbevuto sia pure precocemente di culture di varia natura “ (Guido Montauti) , assimilata negli anni Settanta l’esperienza della pittura bianca , “che esprime il “massimo della luce”, che raggiunge serenità soprannaturali mai conosciute prima dall’uomo. Silvio Cortellini nella “pittura bianca” è un mio seguace; nella scuola egli è stato il migliore dei miei allievi. “ (Guido Montauti, 1978), filtrata con sorprendente padronanza tecnica la lezione degli espressionisti tedeschi del primo Novecento, che segna la sua grafica di quegli stessi anni settanta, nelle esasperate rappresentazioni di nudità deformi, violente o come violentate in un clima tragicamente cupo, di una consonanza non solo stilistica ma anche timbrica e interiore; superati gli influssi assimilativi anche dei maestri più amati, Van Gogh ad esempio o Munch, troppo delimitanti per un temperamento insofferente ai condizionamenti di ogni genere, Cortellini ha elaborato nel tempo, tenacemente, uno stile inconfondibile per qualità tecnica, espressiva e moduli tematici, e tanto personale da pervenire ad una tutta propria compiutezza, di misura e proporzione, che lo colloca in posizione di rilievo nell’ambito della ricerca figurativa non solo locale. Questo “pensoso” lo definiva il Maestro Guido Montauti, “un filosofo prima di essere pittore”, che si è volto, senza mai rinnegarne la portata ispirativa, “alla luce delle cime che circondano la sua casa di Fano Adriano, in un “coro” rischioso e sconvolgente”2. Dove il richiamo alla natura è da intendersi nel senso dell’impatto emotivo e affettivo sul germinare dell’arte di cui determina l’impulso alla rielaborazione, che Silvio sviluppa in aggregazioni pittoriche dall’andamento dinamico, vere e proprie cifre espressive di un amalgama articolato in traccia, colore e forma. E’ il segreto moto dell’arte, in fondo, il suo mistero, che anche si ripropone nell’opera di Cortellini, e il sempre nuovo stupore dell’artista, in cui mente e cuore, mondo interiore e mondo circostante interagiscono con le evocazioni modulate sui movimenti timbrico-lineari rappresentanti la complessità del reale, sia pure attraverso simboli e intuizioni. I critici hanno colto attentamente le sintesi concettuali e l’ansia comunicativa da cui nasce la produzione artistica di Cortellini, nella quale riveste un ruolo privilegiato la valenza dell’inconscio, recuperato dalla dimensione onirica e introspettiva a quella espressiva, dotata di rigore intellettuale e integra spontaneità: “E’ un eterno rinnovarsi di vita, di forme e di significati che vengono dal profondo dell’uomo e dalla purezza si trasformano in segni.”… 3 (Vincenzo Torrieri, 1989); “Rivelare con la pittura verità altrimenti inesprimibili è la dichiarata ambizione di Silvio Cortellini. “…” scandagliare, con ricognizioni anaconiche, i tortuosi territori della propria più intima interiorità”… 4 (Andrea Romeri, 2ooo); “Il processo che Cortellini ha messo a punto in questi anni, è dunque di sintesi “…”fino ad interessarsi del dato cromatico puro e libero…” (Luca Pietro Vasta, 2001); “Quelli che io chiamo affettuosamente i segnacci di Silvio sono in realtà “biomorfismi” della memoria che si agitano nel cuore caldo di emozioni dell’uomo.” (Vincenzo Torrieri, 2001) Giunge per i veri artisti il momento in cui essere “riconosciuti”, in cui, per quanto schivo sia il temperamento, e per quanto drastico il rifiuto della rappresentazione tradizionale in nome della libertà creativa: un dato fondamentale per Cortellini, punto d’arrivo e insieme di avvio; per quanto difficili possano ancora oggi risultare, al di là degli orientamenti e del “gusto”, le tendenze di rottura dell’arte novecentesca verso i metodi e i precetti della “retorica descrittiva” (così intesa quando si avverta la figurazione come limite e non come risorsa); giunge il momento, infine, in cui l’autenticità e la qualità dell’arte conseguono i tratti della “classicità”, una classicità sia pure personale, percepita nell’equilibrio di intenzione e di stile, di stile e contenuti; e in quella particolare modalità con cui quel temperamento artistico si realizza, coinvolgendo il fruitore nel medesimo clima della propria opera. Quando cioè la comunicazione avvenga nel modo quanto possibile diretto, secondo la grazia dell’arte: dono e conquista, imponendosi in virtù delle proprie stesse caratteristiche. Nel caso di Cortellini connotate da una meditata elaborazione preliminare a quella rapidità esecutiva che si configura come tratto dello stile, nel significato che l’artista vi concentra: esplorazione nel profondo di sé, nel comporsi dei rapporti mnemonici in una dimensione spazio-temporale confluita dal processo mentale all’azione anche simbolica dei moduli espressivi. Che assumono, in Cortellini, il carattere di visionaria vitalità e il dato di una dinamica intellettuale tra appagamento e inesausta tensione. “un fatto di testa innanzitutto” Silvio definisce le proprie scansioni pittoriche, fluenti in ritmi curvilinei ed accensioni; un libero gioco dell’intelletto, conferendo al termine non un significato ludico ma quello, ben percepibile, del piacere inventivo, in cui la passione della ricerca si unisce all’entusiasmo del fare. Concezione esistenziale ed estetica risultano incanalate, in Cortellini, nella stessa direzione, da e verso un ideale di libertà umana ed artistica ribadita anche nei suoi discorsi, e così evidente nella sua opera da porsi come fondamento interpretativo dell’identità personale e di quella espressiva, con le sue incalzanti pulsioni: “Più fai e più vedi che devi fare”, “Sento che non sono arrivato, questo è stimolo e insieme una forte gioia “. Fra umiltà e consapevolezza Cortellini riconosce ai maestri, Guido Montauti innanzitutto, un tributo di riconoscenza:”Mi hanno fatto prendere coscienza della libertà a livello umano e quindi artistico, un fatto interiore, non di tecnica “, e, incontro decisivo, a Picasso, dal quale (mostra di Venezia, 1982), trasse una lezione determinante, ancora una volta “non di stile o di tecnica. Rappresentò per me la presa di coscienza di ogni possibile libertà, sul piano artistico ma non solo, anche umano; della possibilità di avvicinarsi a ciò che non puoi spiegare, di comunicare quanto non si vede.” Ritorna puntualmente nella conversazione questo “bisogno di esternare ciò che senti a livello emotivo. Ma lavoro anche per imparare, sento di avere molto da dire, ed è come se sentissi sempre più cose da fare proprio quanto più mi impegno a realizzare queste tensioni all’indicibile”. Per data di nascita, Cortellini compì la sua formazione negli anni in cui la diffusione delle avanguardie storiche, con l’abbandono della figura, divenne negli ambienti artistici acquisita realtà. E’ questa una delle chiavi di lettura della sua arte, nella quale, come avviene per ogni autentico artista, le scelte di ordine estetico, quelle tecniche in funzione di quelle concettuali, si orientarono all’approfondimento delle personalità e delle tendenze più affini, per poi liberarsene. Pensiamo alle scansioni musicali di Kandiski, alla giocosità di Mirò, alla leggerezze vibratili delle sculture di Calder, a certi richiami a Klee, alla spregiudicata libertà gestuale di Pollock nella sua “scrittura automatica” , all’apporto, nel surrealismo, della filosofia dell’inconscio . Si tratta di assimilazioni e suggestioni culturali che hanno certamente contato nelle scelte stilistiche di Cortellini, elaborate tuttavia in modo peculiare e ad un livello più profondo di quello puramente tecnico, sulla spinta di un temperamento inquieto ed esigente che ha tratto anche dallo studio e dall’apprendimento le esperienze cognitive più idonee alla propria evoluzione, filtrando gli echi e le citazioni necessarie alla compiutezza e all’autonomia espressiva. Si apre per la scultura (Cortellini iniziò a scolpire nel 1982) un altro discorso, o meglio sembra aprirsi un altro discorso. Superfici purissime, essenziali cenni dell’umano, con riferimenti sessuali enfatizzanti l’identità, armonie plastiche portate a un senso di voluto isolamento dalla realtà ma insieme in compenetrazione con essa, per via di una trasposizione del rapporto luce-fisicità sul piano di levigati accordi tra spazio e massa, che sembrano risolvere l’intima tensione in ricerca di puri effetti. Inevitabile un richiamo a Brancusi, ad Arp , a Moore , per l’essenzialità come primigenia delle forme, non priva di evocatività misteriose, quali archetipi riaffioranti dalla zona contigua all’inconscio: allusioni alla figura più che i suoi espliciti contorni, in una nozione di tempo e dell’umano che avvertiamo propria di un’altra era o di un mitico immaginario, indotta all’eliminazione di ogni superfluo da quella esigenza di libertà – o di assoluto – ribadita come affermazione della propria verità e della personale ricerca. Tensioni ed inquietudini si sciolgono nell’opera di Cortellini in elaborazioni libere per eccellenza ma non arbitrarie, tendenti alla dimensione altra oltre il reale, surreale ma insieme soprasensibile essenza di sé e del mondo – non solo interiore- in cui Cortellini impegna ogni massima attenzione: “Acquisisci e impari con l’esperienza. Tendo ad essere molto seriale, poi supero e cerco altrove. Lavoro per inseguire un fine, ma non una meta prestabilita, non sono condizionato da schemi; anche questo è una fede? Non sono condizionato da un obiettivo prefissato, né dalla figura. La forma la decido io, ciò che esiste è bello di per sé. Ho bisogno di esternare ciò che sento formulato dentro di me a livello emotivo, le emozioni infatti non si descrivono, si comunicano ”. Non si tratta dunque di uno sperimentare fine a se stesso o di tipo formale, ma di uno scandaglio nell’intimo nucleo, percepito come cassa di risonanza dell’ universalità, attraverso un’attività intellettuale ed estetica in cui meditazione e contemplazione si incontrano. Nel fluttuare delle immagini segui il movimento del pensiero e il registro dei mutamenti; sulle superfici contrassegnate da date, eventi interiori ed effettive vicende, come la “rottura dopo l’11 settembre. Tutto è cambiato”. Nel dipinto datato 14.09.2001, il tutto pieno nell’addensarsi di nero e rosso, dominanti, segna in effetti un diverso rapporto con lo spazio rappresentativo. Movimento, sì, sempre, ma anche un angoscioso ripensare, nella concentrazione di pulsioni, non tanto per dinamiche armonie quanto per assedio degli intrecci.
Apparentemente scontroso, in realtà solo distaccato o immerso nel proprio mondo, Cortellini insegue un fine, ”non però una meta prestabilita “. Come percorrere un tracciato di cui intuisci la direzione ma senza esserne sicuro, come credere di avere ghermito una meta e ogni volta sentire spostati gli orizzonti e ricominciare. Nel senso del fare, dell’agire artistico come nozione di durata, costantemente teso tra memoria, l’attuale e il proseguire. Tutta vitalità è infatti la pittura di Cortellini, movimento e trascrizione di pulsioni sulla superficie color terra del cartone , cartone da imballaggio– materiale scelto come base per la pittura -, morbido alle vibrazioni cromatiche quanto alle tracce decise, veloci delle nere scie, delimitanti macchie di colore. Segni e impronte del groviglio emozionale si sciolgono e ricompongono in partiture a volte più pacate, a volte in frenetici contrasti, a volte in volumi serrati eppure in movimento, circoscritti da moduli che sembrano pulsare come i rovelli della mente, in una metafisica interiore difficile da raggiungere e da cogliere. Qui, si concentra l’impegno di questo artista, sempre in divenire, nel suo visibile procedere per sequele nelle varie applicazioni: la pittura, la grafica (interessantissima, sciolta, estremamente elegante), la scultura.
Ambiti apparentemente diversi, in
realtà accomunati da quella ricerca dell’essenziale –o, forse, dell’essenza
-, sottesa al metodo stesso, la rapidità, dell’esecuzione, “
preceduta da una lunga e accuratissima ricerca mentale. A volte non
dormo pensando a ciò che voglio comunicare, e penso per immagini, vedo i
colori; per cui quando inizio a dipingere ho ben chiaro che cosa voglio
fare. La rapidità è solo una conseguenza di questa chiarezza .Ora
sto cercando un modo diverso di scultura, sto cercando, sto provando.” Avviene così di incontrare nel Parco Nazionale del Gran Sasso-Monti della Laga un artista raffinatissimo e schivo, ruvido e amabile, di grande cultura, vibrante di emozione e commozione, che infonde anche nell’esperienza didattica. Un artista nuovo e insieme antico, nelle cui parole è facile intuire un legame di derivazione e ispirazione strettamente connesso con i luoghi montani e boschivi circostanti: i luoghi dell’origine, di storia e memoria. Nei segreti itinerari dell’operare artistico, e sono le recenti sculture a denotarlo, Cortellini ha iniziato un nuovo percorso, agendo con minimi interventi su pietra arenaria, tocchi rapidissimi su forme di grande fascino, che esaltano le suggestioni della terra nativa e le inseriscono intatte nella sua opera, come fosse essa stessa l’ambito naturale, e creaturale, adatto a riaccoglierle. Un artista da seguire, la cui vocazione creativa, altrettanto genuina e pura come all’inizio, realizza opere di vasto respiro, artisticamente interessanti e del tutto originali, coerenti con la natura tenace e inquieta del suo temperamento. Tanto da volergli riconoscere, oggi, per l’autenticità e la qualità della sua produzione, l’appellativo di Maestro, come volentieri e con animo consapevole, lo salutiamo. |