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Nota biografica e citazioni dalle poesie
di Filippo Dottorelli (1850-1929)

a cura di Fausto Eugeni

 

Filippo Dottorelli (Teramo, 1850-1929), poco noto poeta dialettale teramano, frequentò il Liceo di Teramo maturandosi nel 1871, e fu poi dipendente dell'Ufficio Tecnico dell'Amministrazione Provinciale teramana.  Le sue prime poesie, per quanto si è potuto accertare, furono pubblicate sul Corriere Abruzzese, a partire dal 1879: di quell'anno sono La Ferruvije e alcuni sonetti in onore di San Berardo.

L'attesa dei teramani per la costruzione di una Ferrovia, che collegasse la città al mare, iniziata negli anni immediatamente successivi all'Unità, trovò soddisfazione solo nel luglio del 1879 quando i lavori furono finalmente autorizzati e i lotti appaltati.

 

Avame susperate jurn'e nnòtte

Pe' pputé' 'va' 'na ci' de ferruvije;

 

Stam'aspettènne da lu sessandotte,

E 'ngore n'n ge se lève sta hulìje.

 

- La ferruvìje, 'gnorsì, s'à da fa',

Sarrìje 'na 'ngiustìzij' a ddice' no;

Ma mo' n'n ze po’, se faciarrà cchiù cqua:

'Na ci' di pacijìnze ce la vo'! -

Abbiamo sospirato giorno e notte

per poter avere un po' di ferrovia;

 

stiamo aspettando da sessantotto,

e ancora non ci si leva questa voglia.

 

- La ferrovia, signorsì, s'ha da fare,

saria un'ingiustizia a dire no;

ma ora non si può, si farà più tardi:

un poco di pazienza ce la vuole.

   

Pubblicato dal "Corriere Abruzzese", nel luglio del 1879 e successivamente anche in Gennaro Finamore, Documenti dialettali, in Rasla, 1903, pp.37-38; e per estratto: Teramo, Rivista Abruzzese, 1903. Qui fu pubblicata anche la versione italiana sopra riportata.

 

La ferrovia Teramo-Giulianova fu poi inaugurata nella primavera del 1884.

Dottorelli che non volle mai raccogliere in volume le sue composizioni fece sempre riferimento al Corriere Abruzzese di Francesco Taffiorelli o alla Rivista Abruzzese di Giacinto Pannella per la pubblicazione dei suoi versi.

Paragonata a quella di Brigiotti la sua produzione appare molto meno vasta e sicuramente meno raffinata. A fronte di una metrica e di una scrittura spesso incerte va sottolineato il lessico molto ricco e lo spirito giocoso che lo fece apprezzare moltissimo dai suoi concittadini.

L'espressione migliore della sua vena poetica è il Dante terramane una versione in vernacolo di alcuni canti dell'Inferno il primo dei quali fu pubblicato nel 1919 dalla Rivista Abruzzese con grande successo di pubblico. Questo l'esordio:

 

'Nmezze a u flore de la vita mì,

Ì m' artruvive dantre nu cannate,

Da dove nne putave prubej 'arscì,

 

Isecriste mi! Parave na rate,

Ere prubbetamente giambruite

Che cumincive a renneà la fate,

 

Tante me ciavave sfastiteiàte.

Ma pe dice lu bè che ce 'ngundrive

Ve diche chille che ce so' truvite.

 

Ne nzacce prubbete come ce 'ndrive,

Tante stave 'nbapite lù mumente

Che la strate deritte abbandunive.

In mezzo al fiore della mia vita

Io mi ritrovi dentro un canneto

Da dove proprio non potevo uscire.

 

Gesù Cristo mio! Sembrava una rete,

ed era così imbrogliata

che cominciai a rinnegare la fata [o il fato?]

 

per quanto mi ero infastidito.

Ma per dire del bene che incontrai

Vi racconto di quello che vi ho trovato

 

Non so proprio come vi entrai

Tanto ero rimbambito in quel momento

Che la diritta via abbandonai.

   

La versione italiana qui proposta è puramente indicativa.

 
 

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